Dal primo agosto 2017 l’antica Castro, testimonianza di una storia affascinante che dal Medioevo fino al XVII secolo è rimasta immutata, torna a vivere come Parco Archeologico.
Castro era un’antica città nel cuore della Maremma laziale, capitale del Ducato di Castro. Fu distrutta nel 1649 dopo il saccheggio, l’assedio e la deportazione dei suoi abitanti. Oggi si trova nel territorio comunale di Ischia di Castro (VT).
La città sorgeva su di un costone tufaceo compreso tra il fiume Olpeta e il fosso del Filonica. A 12 km dall’odierna Farnese e a 5 km dal fiume Fiora. Le origini risalgono alla Preistoria, tracce del passaggio dell’uomo sono state rinvenute nelle località Chiusa del Vescovo e dell’Infernaccio. Poi fu sede di una non meglio identificata città etrusca, forse Statonia. Nella vicina necropoli sono presenti numerose sepolture, fra cui la famosa Tomba della Biga, rinvenuta da archeologi belgi nel 1967.
Nel Medioevo, il Castello fu dominato da una donna, e questo singolare fatto gli lasciò il nome di Castrum Felicitatis, cioè “Castello di Madonna Felicita”, nome che conserverà nei secoli successivi. Il villaggio si accrebbe e divenne una città, che assunse anche qualche autonomia comunale. Rimase comunque sotto il controllo del Papa che la difese anche dalle mire dei vicini feudatari toscani e del Lazio.
Nel 1527, una forte fazione si impossessa del potere a Castro e, per scacciarla, un gruppo di cittadini, guidato da Antonio Scaramuccia e Giacomo (Jacopo) Caronio, organizza un colpo di Stato. Chiede la protezione di Pier Luigi Farnese, che accetta ed entra pacificamente in città, accolto con gioia dagli abitanti. Intanto, i Lanzichenecchi saccheggiano Roma e costringono Papa Clemente VII a fuggire ad Orvieto. Qui scopre il fatto e ordina a Pier Luigi di abbandonare subito Castro. Pier Luigi lascia la città a novembre e, subito dopo, il Papa chiede a Gian Galeazzo Farnese, di infliggere ai cittadini di Castro una punizione esemplare. All’alba del 28 dicembre, giorno che per ironia della sorte è dedicato ai Santi Innocenti, Gian Galeazzo irrompe a Castro e saccheggia la città. Il saccheggio viene descritto nel 1575 dal notaio Domenico Angeli, abitante di Castro, nel De Depraedatione Castrensium et suae Patriae Historia (“Il Sacco di Castro e la storia della sua Patria”).
I soldati che demolirono l’antica Castro, risparmiarono una piccola cappella che conteneva l’immagine dipinta del Crocifisso, della Madonna del Carmine e di sant’Antonio da Padova. Per secoli l’edicola del Crocifisso di Castro fu sempre al centro della devozione popolare. Nonostante si trovasse in aperta campagna, e gli abitanti di Castro, dispersi nei paesi vicini, e poi i loro discendenti, all’inizio della bella stagione venivano in pellegrinaggio ai piedi della città distrutta e sostavano in preghiera davanti all’edicola.
Nel 1871 fu edificato un santuario tuttora meta di pellegrinaggi nel mese di giugno.
Intorno al Crocifisso di Castro nacquero diverse leggende: si disse che era stato risparmiato perché i soldati che volevano abbattere la cappella furono paralizzati da una forza misteriosa. Anche analoghi tentativi di demolizione con le mine fallirono.
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